lunedì 23 marzo 2015

Abolizione della carne: una risposta a Veganzetta

 
In merito all'articolo sull'abolizione della carne pubblicato sul blog di Veganzetta l'8 febbraio 2015, pubblichiamo qui una nostra risposta, dopo aver chiesto a Veganzetta di pubblicarla sul suo blog.

Ringraziamo Veganzetta per aver accettato di pubblicare il nostro testo, ma abbiamo ritenuto non accettabili alcune delle condizioni per la pubblicazione (in particolare, alcuni tagli e modifiche che avremmo dovuto apportare al testo): quello che segue è dunque il testo integrale in cui vengono chiariti e articolati alcuni aspetti relativi al Movimento mondiale per l'Abolizione della carne.

Per Meat Abolition (Italia):

Cristina Beretta
Alessandra Cusinato
Francesca De Matteis

Silvana Ferrara
Alessandra Galbiati

Daniela Galeota
Massimo Lo Scavo
Marco Reggio
Aldo Sottofattori

 

 

Abolizione della carne: una risposta a Veganzetta




Il post del blog di Veganzetta a proposito della manifestazione per l'Abolizione della Carne ha sollevato una serie di critiche a proposito di tale campagna. Riteniamo importante rispondere a tali osservazioni, sia perché in parte ci sembrano frutto di fraintendimenti, sia perché, per alcune di esse, si tratta di osservazioni la cui discussione è molto utile ad articolare meglio i temi relativi alla rivendicazione per la chiusura di ogni mattatoio e allevamento a scopo alimentare.

In sintesi, la rivendicazione viene etichettata come “welfarista”, “riformista” e legalista, per concludere che si tratta di una campagna non antispecista. I primi due termini  vengono usati in modo sostanzialmente intercambiabile, e crediamo che questo sia decisamente inesatto. Il welfarismo, come dice la parola stessa, è una tendenza a sostenere il miglioramento delle condizioni degli sfruttati e delle sfruttate, gli animali in questo caso, senza mettere in discussione lo sfruttamento stesso. Il welfarismo mira ad incrementare il benessere (welfare) animale. Si può pensare che sia sempre controproducente, o che talvolta sia un compromesso accettabile, o ancora che una politica dei “piccoli passi” sia inevitabile. Questo, però, è poco rilevante: non si vede come la rivendicazione di chiudere ogni mattatoio possa essere considerata welfarista, dato che mette in discussione un intero settore di sfruttamento, senza se e senza ma.

Per quanto riguarda il riformismo, la questione è certamente più complessa. Riprendendo un breve passaggio di uno dei tanti testi sul tema, Veganzetta accusa di riformismo la campagna in questione,  sottolineando una parola che evoca la contrapposizione a “rivoluzionario”. “Riformista”, nell'uso corrente, possiede infatti un'accezione dispregiativa, ed è spesso usato come sinonimo di “moderato”, “compromissorio”, “ambiguo”. In realtà, stiamo qui parlando di riforma nello stesso senso in cui si sarebbe potuto parlare di riforma a proposito dell'abolizione della schiavitù! Certamente, in senso tecnico abolire una pratica di sfruttamento così ampia e istituzionalizzata come la schiavitù umana (o non umana) è tecnicamente considerabile come una riforma, ma è certamente più “rivoluzionaria” di molte altre rivendicazioni solo apparentemente più “forti”. Crediamo quindi che una parola più adatta, al di là di quanto rinvenibile in un singolo passaggio dei tanti sul tema, sia – piuttosto – “abolizionismo”. “Abolizionismo” può rimandare all’impostazione che vede nell’abolizione di singole pratiche l’unico e decisivo strumento di liberazione, o, come in questo caso, all’impostazione di una singola campagna, insomma al semplice intento di abolire una pratica, senza escludere altri strumenti. Ad ogni modo, il punto è che abolire un ambito di sfruttamento non è necessariamente legalista, come invece sostiene Veganzetta. L’abolizionismo, insomma, può essere molto conflittuale nei confronti delle istituzioni speciste.

Va notato come questo valga allo stesso modo per altre rivendicazioni che vengono espresse acriticamente dalla quasi totalità dell'ambiente antispecista: l'abolizione della vivisezione, l'abolizione delle pellicce, l'abolizione della caccia, l'abolizione della corrida o dei circhi con animali. In sostanza, queste critiche vengono riservate soltanto all'abolizione degli allevamenti a scopo alimentare, come se ci fosse qualcosa di più scandaloso nel pretendere la fine di questa pratica rispetto alle altre. Per inciso, oltre il 99% degli animali uccisi dagli Umani vengono uccisi per farne o trarne cibo, tramite allevamento e pesca. Per questo e altri motivi, si potrebbe addirittura sostenere che la critica di Veganzetta, secondo cui chiedere l'abolizione non intaccherebbe l'assetto della società specista (limitandosi a modificarne un aspetto “periferico”), vale in modo molto più chiaro per tutti gli altri settori di sfruttamento. Infatti, tanto per fare un esempio, è probabile che il sistema possa vietare l'uso di animali nei circhi senza nessuna particolare ripercussione sul proprio funzionamento e sui rapporti di potere attuali; è invece piuttosto improbabile che la chiusura di un settore così importante dal punto di vista economico, culturale, simbolico, come quello dell'industria carnea (e dei derivati) non abbia effetti sconvolgenti sulla società specista.

Nonostante questo, crediamo che ci sia almeno un senso in cui Veganzetta non ha torto a ritenere “non antispecista” la rivendicazione di “Meat Abolition”: in senso stretto, abolire la carne non equivale ad abolire lo specismo. Anche chi pensasse che lo specismo non va abolito ma solo contenuto, o chi ritiene gli animali “inferiori” ma non fino al punto di poterli uccidere senza necessità, potrebbe, a rigor di logica, sostenere che gli allevamenti e i macelli devono essere chiusi. Questo è innegabile, ma non dovrebbe sorprendere: è esattamente quello che succede con tutte le istanze di opposizione allo sfruttamento animale, dalla caccia alla sperimentazione su cavie. In generale, poi, soltanto abolire lo specismo equivale ad abolire lo specismo. Riteniamo che la domanda se una campagna sia “antispecista” o meno sia piuttosto oziosa, insomma. Più interessante è chiedersi se una campagna è utile o meno (cioè se sia, eventualmente, utile nel breve termine - o superficialmente – o controproducente nel lungo termine - se osservata con attenzione).
In tal senso ci sembra vadano lette le critiche secondo cui rivendicare l'abolizione della carne (latte, uova) sarebbe quasi come “mendicare” agli apparati di stato la salvezza degli sfruttati, per di più legittimandone la funzione legislativa e di regolazione dei rapporti fra esseri senzienti, una funzione che tali apparati non possono che svolgere in chiave antropocentrica. Questa questione, di per sé, molto complessa è stata dibattuta in più occasioni. Ci limitiamo qui a segnalare la discussione su abolizionismo e liberazionismo svoltasi durante il IX Incontro di Liberazione animale (2013), la cui trascrizione è disponibile sul relativo sito web. Per brevità, desideriamo sottolineare un particolare aspetto. Oltre al fatto che le rivendicazioni possono essere formulate e sostenute in diversi modi (come richieste di concessioni del potere costituito o, al contrario, come rivendicazioni conflittuali), occorre notare che nessun* è così ingenu* da pensare che una piccolissima minoranza della già piccola minoranza di vegan possa imporre con la forza la fine della schiavitù animale. Si tratta, principalmente, di esprimere una rivendicazione chiara che vada oltre il semplice appello alla generosità individuale, una generosità che si esprime con l'adozione di uno stile o filosofia di vita vegan. E questo costituisce forse il punto principale che connota il Movimento per l'Abolizione della Carne (assieme al suo carattere internazionale – un aspetto che ne fa un'eccezione nel panorama animalista/antispecista).

Contrariamente a quanto siamo abituat* a fare, la rivendicazione di abolire allevamenti, pesca e mattatoi non fa appello ai singoli in quanto consumatori, cioè come persone che possono scegliere alimenti di origine animale oppure alimenti “cruelty-free”. Tale rivendicazione fa appello alla società nel suo complesso, proprio perché ciò che combatte non è un problema dei singoli, della loro crudeltà o di qualche altra loro “stranezza”, ma della società, appunto. Naturalmente, non può che rivolgersi anche alle singole persone, ma non in quanto consumatori. Non chiede loro di “diventare vegan” (se non secondariamente), ma di schierarsi in quanto membri di una collettività, una collettività in cui uccidere e torturare gli animali per ricavarne cibo è perfettamente legale (ed anche sovvenzionato dalle istituzioni). Questo significa che il veganismo è importante in quanto: a) assume un significato diverso da quello usuale, diventando uno strumento individuale per sostenere la richiesta di chiudere i mattatoi; b) non si pensa che convertire uno a uno gli individui al veganismo possa essere la strategia vincente per la liberazione animale (e neppure per un miglioramento radicale della condizione dei non Umani)[1]; c) non è interessante colpevolizzare i singoli che non sono (ancora?) vegan, ma è più giusto e proficuo contestare la produzione di carne come fenomeno sociale e sistemico. Certamente, questo ultimo punto costituisce un motivo di dissenso per Veganzetta, che vorrebbe che ogni iniziativa sul tema richiedesse “un'autocritica in senso vegan”. Infine, è importante anche solo che la volontà di arrivare ad un mondo senza mattatoi e senza allevamenti venga espressa apertamente: è assurdo che chi, a livello individuale, si fa carico di una scelta controcorrente come quella vegan, non sia dispost* poi ad esprimere questa semplice rivendicazione, talvolta per un malinteso senso di libertà di scelta [2] (“io sono vegan, ma ognun* deve essere libero di fare quello che vuole”... con il corpo degli altri?).


Per approfondire:

- Sito internazionale Meat Abolition: http://www.meat-abolition.org/
- Blog italiano sull’abolizione della carne: http://aboliamolacarne.blogspot.it/
- Intervista a M. Filippi e M. Reggio a cura di Animalisti Friuli Venezia Giulia: http://animalistifvg.blogspot.it/2015/01/giornata-mondiale-per-labolizione-della.html


NOTE

[1] Questo punto è espresso in modo suggestivo, per esempio, da Horkheimer, come indicato sullo stesso blog di Veganzetta (qui). Un ottimo articolo sul tema del “proselitismo” vegan è quello di Antonella Corabi, reperibile qui.
[2] Peraltro, Veganzetta non lascia alcun dubbio sulla sua posizione in merito, essendosi sempre espressa in modo critico rispetto all’idea di “libera scelta” in tema di uccisione di animali a scopo alimentare.